Autore: Ignazio Gori

Siamo volpi o caporali?

di Ignazio Gori

Quante volte vi sarà capitato, ahimè, di vedere sul ciglio di una strada di campagna una volpe investita? Io invece oggi vorrei ricordare la volta in cui ne vidi due, ma vive, due piccole volpi argentate, luccicanti nella notte. Avvenne nei pressi di Calcata, il magico borgo in provincia di Viterbo arroccato in un canyon di tufo, che tanti artisti ha affascinato, tra i quali Hayao Miyazaki, il maestro di animazione giapponese. Attraversarono la strada all’improvviso, ma non così velocemente da impedire che le vedessi chiaramente, che non provassi una piccola emozione. L’oscurità, lucida di stelle, faceva risaltare quelle due volpine d’argento come due nuvolette fosforescenti e dovetti fermare la macchina per accertarmi di non essere precipitato in un sogno. “Raposa … raposa!”[1] disse Larissa, l’amica brasiliana che mi aveva accompagnato a visitare Calcata. La sua voce non celava meraviglia e sollievo per il pericolo scampato. Pare infatti che non solo in Giappone, ma anche in Brasile e in altre paesi del mondo uccidere una volpe, anche accidentalmente, non sia un avvenimento privo di conseguenze astrali.

Uccidere una volpe è un “reato emozionale”. Lo sapeva persino il grande scrittore e umorista americano Mark Twain (1835-1910). In Un americano alla corte di re Artù, edito nel 1889, Twain anticipa di tanti anni il tema, poi affrontato al cinema, della Macchina del Tempo, facendo rocambolare Hank Morgan, un comune cittadino di Hartford nel Connecticut, alla corte reale inglese, Anno del Signore 528. La coscienza di Twain si esprime attraverso le parole di Morgan che prega Re Artù di fare due cose: abolire la caccia alla volpe e imparare il giuoco del baseball; sport che Twain amava e praticava, già molto diffuso in tutto il nordest degli Stati Uniti nella seconda metà dell’800. Come non essere d’accordo, noi Red Foxes, con le proposte di Hank Morgan, alias Mark Twain? Quasi un connubio esistenziale. Il baseball e di conseguenza il softball, come tutti sanno, derivano da varie versioni di giochi rurali britannici, che tramite i coloni hanno avuto un’evoluzione negli Stati Uniti. Twain questo lo sapeva bene, frequentava il mondo del baseball, ne era accanito promulgatore e in questo suo libro si era divertito ad anticipare i tempi, non mancando, con sarcasmo, di punzecchiare il nobile orgoglio inglese proponendo l’abolizione del ludico massacro delle volpi. Mi vengono in mente a questo punto le parole della grande fotografa olandese Roeselien Raimond, che proprio della volpe ha fatto uno dei suoi soggetti preferiti: “Le volpi sarebbero abbastanza tranquille di natura, ma abbiamo dato loro la caccia per secoli e le abbiamo rese timide e notturne.”

La caccia alla volpe è stata ufficialmente abolita in Gran Bretagna SOLO nel 2005, ben 116 anni dopo il desiderio espresso da Mark Twain. Ma l’apprezzamento di noi “Red Foxes” non può che avere una dirompente forza retroattiva e unendoci a Twain gridiamo: “SIAMO VOLPI O CAPORALI?”. Siamo volpi, decisamente volpi … i caporali lasciamoli fare a chi non ha memoria.

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Per chi ama gli sport del diamante cambia poco, ma il nostro è un club di softball e vorrei dedicare questo mio articolo alla memoria di un “gigante” del softball mondiale che ci ha lasciato di recente: il leggendario pitcher di Allentown, Pennsylvania, Tyler Earl “Ty” Stofflet, classe 1942, già indotto nella WBSC Softball Hall of Fame nel 2005, i cui lanci, superiori ai 160km orari, poco lasciavano ai malcapitati battitori avversari. Definito dal New York Times Magazine “The fastest pitcher in America” Stofflet ha vinto con la squadra americana i Mondiali di softball del 1976 organizzati in Nuova Zelanda, a pari merito con la squadra di casa e il Canada; una edizione storica, ricordata per una gara leggendaria, denominata senza mezzi termini: “The Game”. Contro i Kiwi infatti, Stofflet lanciò 18,2 innings assolutamente perfetti, eliminando 56 battitori consecutivi e portando a casa la sofferta vittoria. Non ne abbiamo certezza statistica, ma si pensa che Stofflet abbia vinto più di 1500 partite in carriera, inclusi 650 “shutouts”, 172 “no-hitters” (sic!) e 58 (doppio sic!) “perfect games”. Chapeau!

(la foto in copertina di Roeselien Raimond è tratta da www.boredpanda.com; quella di Mark Twain da www.ourgame.mlblogs.com; l’immagine di Stofflet in coda da www.alsfastball.com)

[1]“Volpe” in portoghese

LA VOLPE DELLA FORTUNA

di Ignazio Gori

Dopo Bob Gibson vorrei proseguire questo mio percorso commemorativo, in chiave “volpesca”, ricordando un altro mito del nostro mondo sportivo. È trascorso quasi un anno infatti (11 Febbraio 2020) dalla partenza di Katsuya Nomura per la “terra dell’eterna primavera”. Nato a Kyōtango, nella prefettura di Kyoto, nel 1935, Nomura-san è considerato forse il più grande catcher della storia del baseball nipponico. Nella sua lunga carriera da giocatore, durata ben 27 stagioni (sic!), dal 1954 al 1980, indossando le casacche dei Nankai Hawks, Lotte Orions e Seibu Lions, Nomura ha tenuto una media al box di .277, collezionando 2901 valide e 1988 RBI’s. I premi individuali sono innumerevoli: 5 volte MVP della Pacific League, Tripla Corona nell’anno di grazia 1965, ben 19 volte (doppio sic!) inserito nel “Best 9” della stagione NPB e due “Japan Series” conquistate con la maglia degli Hawks, nel 1959 e nel 1964. L’induzione nella Hall of Fame del Sol Levante è arrivata obbligata nel 1989. Ma il nostro eroe si è fatto valere anche come ottimo manager portando al titolo gli Yakult Swallows di Tokyo ben tre volte: 1993-‘95-‘97. Sarebbe inutile aggiungere quanto questo campione sia amato nel suo paese, ma a questo punto gli amici Red Foxes si staranno chiedendo: e la volpe cosa c’entra?

La volpe (“kitsune” – 狐) nella mitologia giapponese, a causa della sua straordinaria arguzia, è creduta capace persino di poteri soprannaturali, tra i quali mutarsi in donna: a volte benevola, altre ingannatrice. Più una volpe diventa vecchia e saggia, più code le vengono ritratte nell’iconografia mitologica, fino a un numero di 9, il massimo grado di saggezza. E non sono forse 9 i giocatori di baseball, di softball? E non sono forse 9 gli inning? Questo è uno sport trascendentale, l’ho sempre detto.

Ma non è tutto.

Le volpi sono inoltre considerate le messaggere di Inari, la divinità della buona fortuna, della fertilità e del successo terreno. Accattivarsi una volpe potrebbe significare ricevere benevolenza da Inari. La statua di una volpe è presente davanti al santuario shintoista di Fushimi Inari-taisha a Kyōto. Si dice (ma anche questa è una leggenda? A noi “volpi rosse” piace credere di no!) che Katsuya Nomura – il quale era molto giudizioso, provenendo da una famiglia povera e avendo avuto un’infanzia molto difficoltosa – si recasse all’inizio di ogni stagione sportiva a rendere omaggio a questa statua. Evidentemente deve avergli portato fortuna, se pensiamo ai 657 “pepitoni” buttati fuori in carriera: quinto fuoricampista di SEMPRE dietro il divino Sadaharu Oh (che in quanto divino non conta), Hank Aaron, Babe Ruth a Willie Mays.

Tutti le “volpi”, almeno una volta nella vita, dovrebbero visitare in pellegrinaggio affettivo il santuario di Fushimi Inari-taisha a Kyōto, il principale dedicato al kami (divinità) Inari, un luogo decisamente magico, per riflettere e sognare. In buon auspicio per un anno propizio e soprattutto sereno, e in attesa di una qualche ufficialità per la stagione del softball amatoriale 2021, da neo “Red Fox” anche a me piace pensare, come Nomura-san, che una Volpe Celeste possa vegliare sulla nostra tana, anzi, sul nostro diamante, infondendoci arguzia, temperanza e salute.

 

(Fonti delle immagini: la foto di copertina è tratta da doraemonmon.tumblr.com. La foto intra-articolo è tratta da animeclick.it)

 

 

Essere una “volpe”. Ricordando Gibby.

di Ignazio Gori

Il “nickname” è importante in tutto il cosmo sportivo di derivazione anglosassone, è una identificazione a volte territoriale, a volte filosofica, culturale, altre ancora di mero rimando citazionistico, passionale. La prima volta che ho sentito parlare, qualche anno fa, di un club a Roma di softball amatoriale chiamato “Red Foxes” la mia mente è partita, per deformazione professionale, alla ricerca di tutte le squadre nel mondo del baseball o del softball che avessero questo simpatico nomignolo scritto sulla casacca. Sul momento non mi sovvenne nulla, ma sapevo di aver già incontrato i “Foxes” da qualche parte, come un ronzio che non abbandona il ricordo. Mi è tornato in mente solo lo scorso 2 Ottobre, quando a 84 anni ci ha lasciati uno dei più grandi lanciatori di sempre, Bob Gibson, leggenda dei St. Louis Cardinals, con i quali ha vinto da MVP 2 World Series, nel 1964 e nel 1967, aggiungendo 1 MVP della National League, 2 Cy Young Award e 9 Golden Gloves … un carriera immensa che gli è valsa l’elezione nella formazione del secolo stilata dalla MLB. Ora vi starete chiedendo: cosa c’entrano le “volpi”? C’entrano eccome, perchè prima di essere un “cardellino”, il compianto Bob è stato soprattutto una “volpe”. Nel 1957 infatti i Columbus Foxes (foto in basso, Gibson in seconda fila, il secondo da destra) di Classe A (1) erano affiliati proprio ai St. Louis Cardinals, i quali convocarono in prima squadra l’asso di Omaha ancora indeciso tra il baseball e la pallacanestro, nella quale eccelleva a tal punto da ingolosire i mitici Harlem Globetrotters. Per nostra fortuna, Bob scelse il diamante entrando nella Leggenda. Ma tornando alle Volpi, la squadra di Columbus si sciolse nel 1958, l’anno successivo la dipartita di Gibson, dopo cinquant’anni di permanenza, a diversi livelli, nelle “minors”, non senza però aver portato in bacheca 6 titoli di lega.

La volpe è un animale sinonimo di scaltrezza, furbizia, velocità, prontezza, istinto … abilità fondamentali, quasi formative, nel gioco del softball e del baseball, qualità le quali, coadiuvate da lealtà e fierezza, fanno dell’essere una “volpe” quasi un “ikigai”, concetto profondo e centrale nella lingua e cultura giapponese, ovvero una “ragione di essere”. Entrare in un club, in un gruppo che condivide una passione, è come entrare in una nuova famiglia, sensibilizzarsi a un sentimento comune, alla storia di quel club, e di rimando alla sua origine nominale.

Ho voluto salutare a modo mio questi nuovi amici e compagni di squadra, raccontando una pillola di storia “volpesca”, in augurio a un nuovo anno e una stagione sportiva all’insegna del divertimento e della condivisione. Non solo vecchi lupi dunque a Roma, ma anche giovani volpi hanno trovato la tana! So Red Foxes, keep enjoying! 

 

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(1) All’epoca le squadre minori erano divise in Classe A, B, C, D. Dunque la Classe A corrispondeva all’attuale Triplo A

(le immagini sono tratte da www.jrsbullpen.com)